mercoledì 14 gennaio 2015

Recensione - Akame ga kill!

Dopo più di un anno, finalmente torno a scrivere qui per parlare di una serie conclusasi da poco che ha fatto discutere abbastanza gli spettatori. Si tratta di Akame ga kill!, anime del 2014 prodotto dalla White Fox e basato sull'omonimo manga attualmente in corso di pubblicazione su Gangan Joker.


AVVISO: Possibile presenza di spoiler significativi riguardo la trama da qui in avanti.

L'anime è composto da 24 episodi ed ha come protagonista Tatsumi, giovane proveniente da uno sperduto e poverissimo villaggio all'interno di un impero sconfinato. Il ragazzo decide di partire verso la capitale col preciso intento di fare fortuna: spera che la gigantesca capitale, con le sue mille opportunità, gli dia la possibilità di diventare ricco e famoso e di potere così fornire dei mezzi di sostentamento per le persone del suo paesino.
Raggiunta la sua destinazione, Tatsumi viene generosamente ospitato da una famiglia di nobili, i quali però si rivelano essere l'opposto di ciò che vogliono mostrare: persone spietate, amano accogliere ignari viandanti con la scusa di offrire loro ospitalità per poi farli prigionieri e torturarli. Tatsumi riesce a scoprire tutto ciò grazie ai Night Raid, un gruppo di assassini molto noti nella capitale. Inizialmente restio ad unirsi a loro, Tatsumi cambia idea quando si rende conto delle condizioni in cui versa la capitale: una città gigantesca ma corrotta, dove i ricchi sono sempre più ricchi e potenti e i poveri sempre più miserabili. Tutto ciò è causato principalmente dall'influenza che l'avido Primo Ministro Onest ha sul giovanissimo imperatore, un ragazzino inadatto a governare che non si rende conto di ciò che avviene al di fuori del suo palazzo e che è convinto dall'infido Ministro che il gruppo di ribelli che sta combattendo per riportare giustizia nell'Impero siano solo dei rivoltosi che non rispettano la sua autorità. I Night Raid hanno una parte di non piccola importanza all'interno della ribellione: essi sono infatti un gruppo segreto infiltrato nella capitale che si deve occupare di spionaggio e omicidi per conto della rivoluzione.
Desideroso di cambiare l'impero, Tatsumi si unisce ai Night Raid, che per lui cominciano a diventare quasi una famiglia...

Parlare di questa serie è per me estremamente difficile. All'inizio mi aveva attratto molto grazie ad una trama che, sebbene non originale, prometteva dei risvolti interessanti: un impero corrotto vicino alla decadenza, assassini che animati da varie motivazioni si uniscono per cambiare le cose, momenti di ironia che se gestiti bene non fanno mai male...peccato tutte queste siano state quasi tutte inattese col procedere degli episodi.
Innanzitutto, parto subito col mettere in rilievo quello che anche altri prima di me hanno considerato essere il problema di fondo di questa serie. Questo è di fatto uno shounen che vuole essere un seinen ma non ci riesce completamente. Uno shounen per il tipo di umorismo che lo caratterizza, per lo sviluppo del rapporto tra i personaggi (che sono tutti caratterizzati e disegnati in maniera da essere subito riconoscibili) e soprattutto per i power up rappresentati dalle Arme Imperiali, tutte con caratteristiche particolari e che regalano poteri veramente esagerati ai loro possessori. Un seinen senza dubbio per gli elementi vagamente splatter che ogni tanto compaiono giusto per ricordare allo spettatore che si tratta di una storia seria, in cui le persone muoiono e lottano per qualcosa in cui credono profondamente. Il punto è che facendo così si finisce inevitabilmente per creare una grossa confusione: da un lato c'è questa componente che tenta di essere matura e di inserire elementi quali, la lotta per il potere, il contrasto tra bene e male, il riflettere sui propri principi e su ciò in cui si crede, ma dall'altro tutto ciò sfuma quando incappiamo in alcune scenette che sembrano prese da una commedia scolastica (spiare le ragazze al bagno, lite comica tra futuri fidanzatini,...).
Probabilmente l'elemento splatter sopra accennato serviva non solo a stupire lo spettatore, ma anche per aggiungere dramma sul dramma non appena si vedeva il proprio personaggio preferito morire di una morta estremamente sanguinosa. Effetto usato spesso anche in altre opere (pensiamo a L'attacco dei giganti, dove le morti-splatter la fanno da padrone), ma che purtroppo qua viene sminuito nel momento in cui si entra nel meccanismo del "morto della settimana". Si può notare infatti come ad un certo punto i morti si susseguano uno dopo l'altro lungo una decina di episodi. Non c'è il tempo per dispiacersi o portare il lutto: ci sono altri in fila che stanno aspettando di lasciarci le penne! Tutto ciò, oltre che rendere Akame ga kill!, nelle parole di alcuni fan, il Game of Thrones giapponese, sminuisce l'effetto l'effetto drammatico che provoca la dipartita di un personaggio, rendendola una cosa di routine: ad un certo punto mi sono messa scommettere col mio ragazzo su chi sarebbe stato il prossimo a morire, e ci ho sempre quasi beccato: in fondo non è poi così difficile indovinare! Basta aspettare che facciano un flashback sul passato di qualcuno dei personaggi per intuire che lui o lei moriranno nel giro di pochissimo.
Questo mi porta ad un altro problema: i personaggi. Veramente pochi di essi sono veramente approfonditi nel corso della serie. La maggior parte di loro si susseguono lungo gli episodi senza rimanerci impressi, nonostante le loro dipartite spesso siano così scioccanti: ad un certo punto mi è venuto il dubbio che l'unione "flashback straziante+morte splatter" sia stata adottata per sopperire alla mancanza di una vera caratterizzazione dei personaggi, per far sì che il pubblico si affezionasse a loro nonostante la loro presenza nella serie non fosse così significativa. Il punto è che non basta dare ad un personaggio un passato triste: se vuoi che il pubblico si affezioni a lui devi essere in grado di svilupparlo bene per tutto il tempo in cui esso compare sullo schermo (e, a volte, anche quando non compare). Prendiamo il personaggio di Bulat: ex soldato divenuto disertore dopo l'arresto del suo mentore, si unisce ai Night Raid diventandone uno dei membri più forti grazie anche alla sua Arma Imperiale, l'armatura Excursio. Quando Tatsumi si unisce al gruppo si affeziona subito a lui e lo invita a trattarlo come un fratello maggiore. Alla sua morte Tatsumi eredita la sua armatura e (si presume) lo spirito combattivo, Tutto questo ricorda (involontariamente, credo), il tipo di rapporto che si sviluppa tra Simon e Kamina in Gurren Lagann. Peccato che in Gurren Lagann il rapporto fraterno tra Simon e Kamina sia tra i temi centrali della storia: per Simon Kamina è un fratello maggiore acquisito che non ha mai smesso di avere fiducia in lui; il suo esempio è ciò che aiuta Simon a crescere e a capire che può farcela. Anche per Kamina Simon è ugualmente importante: nonostante all'apparenza Simon sembri un tipo tranquillo, quasi anonimo, per lui è invece un elemento importante della squadra, il fratello minore che ha sempre avuto fiducia in lui anche nei momenti più bui. Sa che è anche grazie al supporto di Simon se lui è riuscito a diventare una guida per tutti ed è il primo a riconoscere nel ragazzo grandissime capacità che deve però essere in grado di manifestare. Un rapporto stupendo, che purtroppo in Akame ga kill! non riesce ad essere replicato: Bulat e Tatsumi del resto rimangono insieme per pochissimo tempo e non risulta credibile che la  morte di Bulat abbia avuto su Tatsumi un impatto più grande rispetto a quella di Kamina su Simon. Bulat non possiede nemmeno il carisma di Kamina, la cui presenza si fa sentire anche nella seconda parte della serie, per cui ci viene difficile sentirne la mancanza ogni volta che Tatsumi lo ricorda.
Lui è fondamentalmente inarrivabile
Viene inoltre difficile riuscire ad immedesimarsi nelle situazioni di dolore di alcuni personaggi quando questi sono presentati come degli psicopatici senza speranza. Non sto parlando di Esdeath (il cui sadismo è comunque abbastanza comprensibile, vista anche la sua concezione del mondo), ma di un personaggio come Seryu, membro della squadra degli Jaeger: è difficilissimo simpatizzare per una come lei, ed è davvero poco credibile per noi pensare che Wave ne senta sul serio la mancanza, vista la maniera totalmente folle in cui si comporta nella maggior parte delle sue apparizioni. È senza dubbio un peccato, perché l'idea di presentare gli Jaeger, gruppo formato da Esdeath con lo scopo di contrastare la ribellione, come una specie di "specchio" dei Night Raid, un gruppo di nemici ma con dinamiche di squadra simili alle loro, dove si sviluppano forti rapporti di amicizia, era sicuramente buona e avrebbe dato l'opportunità al pubblico di vedere i lati positivi e negativi di entrambi i gruppi, aiutandoci a comprendere meglio le ragioni delle loro scelte. Purtroppo questa occasione è andata sprecata e membri degli Jaeger che avrebbero potuto dimostrare di essere lì non semplicemente per una visione distorta di giustizia sono letteralmente stati messi da parte e dimenticati fino agli ultimi minuti della serie, come Run: ex maestro pacifista che vuole cambiare l'impero dall'interno senza spargimenti di sangue, ma di cui conosciamo i nobili scopi solo alla fine.
Riesco subito a simpatizzare per lei
Ammetto comunque che mi sono ricordata chi era la protagonista della serie solo negli ultimi due episodi. Akame, la misteriosa spadaccina, allevata assieme alla sorella per uccidere, ex membro di un corpo speciale imperiale, disertrice dopo essersi resa conto di non voler più stare al gioco dell'impero, sembra all'inizio essere uno di quei classici personaggi freddi e cinici a causa del suo passato (che è effettivamente molto triste, se pensiamo a quello che hanno passato lei e la sorella Kurome), ma rivela un lato che io ho trovato estremamente dolce: è una persona sicuramente addestrata a tenere sempre alta la concentrazione, ma che sa prendersi cura degli altri e che tiene molto ai suoi amici. Mi spiace solo che spesso sia messa da parte perché la serie tende di più a focalizzarsi su Tatsumi, il "novellino" che deve scoprire tutto sul mondo di cui è entrato a far parte.
So anche che una delle cose criticate da chi ha visto la serie è stato un certo anacronismo e una scarsa cura per i dettagli. Per quanto riguarda l'anacronismo, credo si riferissero al fatto che nonostante l'ambientazione chiaramente pseudo-medievale, potevamo vedere molti personaggi con vestiti o accessori moderni (come Chelsea e le sue cuffie). Personalmente non mi ha molto infastidito come cosa: l'anime chiaramente non aveva pretese di veridicità storica e l'ambientazione in una sorta di "mondo alternativo" effettivamente poteva permettere ai creatori di sbizzarrirsi un po' di più per quanto riguarda oggetti di uso comune e abiti. Capisco forse di più la critica che riguardava l'uso, in un mondo chiaramente ispirato all'Occidente, delle classiche bacchette orientali al posto della forchetta, ma del resto nella serie la protagonista impugna una katana...Un po' più grave secondo me è stato vedere questo gruppo di assassini ignorare completamente il fatto che dovevano mantenere una certa riservatezza per andare allegramente in città a fare shopping: capisco il fatto di dover mantenere una copertura, ma anche quando le loro facce erano state rese note bastava un cappuccio per poter girare con tranquillità! Questo mi è sembrato veramente poco accurato, come se si stesse ignorando completamente che i Night Raid fossero comunque ricercati.
Dal lato tecnico invece mi sono sembrate molto fluide le animazioni, specie durante le sequenze dei combattimenti, che sono comunque sempre molto belli da seguire. Non ho apprezzato molto alcune scelte per quanto riguarda alcuni colori troppo brillanti: il rosa dei capelli di Mine e il verde di quelli di Lubbock mi hanno ricordato veramente troppo alcuni colori che mi è capitato di vedere in alcune serie per bambini, il che secondo me ha contribuito a sminuire l'effetto di serie adulta che si voleva dare.
Le sigle di apertura sono: per i primi quattordici episodi "Skyreach" di Sora Amamiya e per i restanti "Liar Mask" di Rika Mayama. Ho apprezzato la prima in particolar modo: nonostante sia una sigla abbastanza semplice, che si limita a presentare quelli che per la prima parte della serie sono i personaggi principali, l'ho trovata animata molto bene, con un buon mix tra animazione e musica.
Le sigle di chiusura sono "Konna sekai, shiritakunakatta" di Miku Sawai e "Tsuki Akari" di Sora Amamiya. Devo ammettere che queste due non mi sono rimaste impresse molto, anche se devo dire che ho preferito la prima delle due, con i personaggi da soli su vari sfondi, da una camera ad un bar.

In definitiva, ritengo Akame ga kill! una mezza delusione. A fianco di aspetti tecnici sicuramente molto positivi ve ne sono altri legati alla trama e ai personaggi che mi sono piaciuti meno. Probabilmente alcune scelte infelici sono dovute al fatto che il manga attualmente è ancora in corso e la White Fox, per realizzare una serie di 24 episodi, ha dovuto modificare (anche in maniera pesante, in base ad alcuni spoiler che ho letto) alcune cose per dare una sua conclusione alla storia, ma forse si è lasciata prendere una po' la mano.
Non un prodotto da buttare, ma sicuramente non la rivelazione dell'anno.